In Barbagia vivono ancora forti le tradizioni, fra queste una è sicuramente la preparazione del pane carasau, “su pane ‘e vresa”, che nonostante le trasformazioni dovute alla modernizzazione, non ha perso le caratteristiche che lo rendono unico in tutto il mondo. La sua preparazione parte da lontano, dalla coltivazione del grano a tutte le fasi di trasformazione. Proprio in questo periodo ne viene effettuata la raccolta; mietitura e trebbiatura in particolare, seguivano un tempo particolari rituali.
Esso rappresenta comunque un elemento importante nella vita dei Sardi fin dal neolitico, da questo dipendeva la vita, diviene quindi alimento sacro. Se la terra non dava frutto, il popolo moriva. Tantissimi reperti di epoca neolitica, gli stessi menhir e le pietre che ricoprivano i dolmen non a caso hanno impresse delle macine, a testimonianza di come fosse importante questo piccolo alimento fin da tempi remoti.
Tutto il lavoro preparatorio dei campi e la sistemazione del terreno veniva eseguita dall’uomo, l’aratura del terreno con i buoi che trascinavano l’aratro in legno; la semina, la zappatura del terreno in inverno e infine il lavoro più duro, sotto il sole cocente: la mietitura.
Lo stesso nome “Trivulas o Tribulas” prende il nome dalla trebbiatura che si teneva nel mese di luglio. In tutti i paesi venivano preparate le aie, solitamente in ampie piazze.
In S’arjola, il massaio restava ore a far girare i buoi con legata una grossa pietra che serviva a separare il grano dalla spiga; e poi le donne con i setacci a separare il resto del chicco dalla pula. Un lavoro immenso, tanti sacrifici che hanno visto protagoniste intere generazioni. Da questi raccolti dipendeva la sopravvivenza.
Su pane ‘e vresa
La preparazione del pane carasau in Barbagia ha origine sicuramente antiche.
Esso ha uno specifico significato antropologico e culturale e rappresenta anche un rito sociale ben radicato nella comunità.
Attorno al forno del pane si riuniscono le massaie che per un intera giornata danno vita secondo precisi rituali al alimento sacro” e di importanza vitale per una comunità agro-pastorale.
“Carasau”, a Mamoiada, deriva dal termine “caresare”, utilizzato per indicare la fase della divisione in due parti della sfoglia che gonfiandosi come una palla nel forno, viene poi divisa dalle massaie tagliandola con il coltello. In alcuni paesi questa fase rappresenta la tostatura.
Nell’uso quotidiano il pane però aveva nomi diversi “pane voledu”, “biancu” o “pane ‘e sos riccos” ( il pane dei ricchi).
Un tempo infatti il pane carasau era un privilegio delle classi sociali più abbienti.
Non tutte le famiglie potevano permettersi il grano o la farina necessaria per prepararlo, e infatti veniva alternato con pani come il pane d’orzo “s’orjathu”, considerato un tempo “il pane dei poveri” e che oggi nessuno prepara più, nonostante abbia delle caratteristiche nutrizionali interessanti.
Esso era un tempo anche l’alimento principale dei pastori, costretti durante la transumanza a restare molto giorni fuori casa, esso infatti trattenendo poca umidità può essere conservato per lungo tempo senza che si deteriori.
Ovviamente con il tempo, meno male, anche se non tutti possedevano un forno, la maggior parte delle famiglie poteva comunque prepararsi il pane tramandandolo di generazione in generazione fino ai nostri tempi.
Il rito del pane
Il rito del pane iniziava e inizia ancora oggi con il segno della croce, un segno di sacralità e di buon auspicio che verrà persino impresso sull’impasto madre.
Il processo di panificazione viene affidato alle donne e richiedeva un’intera giornata di lavoro: dalla preparazione del lievito madre e dell’impasto alla tostatura, tutto eseguito a mano. Vedere con quanta maestria le massaie preparano con i mattarelli perfette sfoglie rotonde è qualcosa che lascia a bocca aperta; solitamente i compiti venivano divisi e alla donna più brava veniva affidato il compito di “rifinitura”, quello della stenditura del pane è un lavoro delicato, se fatto male questo si ripercuoterà sulla cottura, la sfoglia non si gonfierà bene nel forno e anche la divisione non sarà compito facile.
Tutto dev’essere al suo posto, tutto ha i suoi tempi, dopo tutto si tratta di un rito e la vita dei nostri avi ne era indissolubilmente legata. La stessa introduzione della sfoglia nel forno curiosamente viene chiamata in molti paesi “incresionzu”; curioso perchè è lo stesso termine usato per indicare la prima entrata ufficiale in chiesa della madre col nascituro.
Nonostante i profondi stravolgimenti ancora oggi in Barbagia il profumo del pane che invade i viottoli e le strade dei nostri paesi, continuando a nutrirci, continuando a dare vita sacra.