L’antica tradizione della mietitura e della trebbiatura di grano e orzo
Ormai è solo un ricordo lontano, ma queste tradizioni fanno parte della nostra storia. Giugno e Luglio erano mesi cruciali per la raccolta e la lavorazione del grano. Mesi di duro lavoro nei campi che si concludevano con il raccolto di un bene inestimabile per i nostri avi.
Non esistono molte testimonianze fotografiche di questi momenti, i ricordi però si, quelli sono rimasti vivi nella memoria.
10 anni fa a Badu Orgolesu in occasione di Arte nelle Mani, organizzammo la trebbiatura e qualche settimana prima persino la mietitura. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, abbigliamento, gesti, e poi quei racconti seduti all’ombra di un mandorlo a “gustare”, pane, ‘asu e tommattis!
“Su messonzu” in genere si tiene a fine giugno, “in lampadas”, anche perché dopo questa fase si deve procedere con la trebbiatura, “Su trivulonzu” che si fa in luglio “trivulas”. Si miete con la falcetta piccola, “Ar’e de messare”.
Su messadore tiene con la mano un bel mazzo di grano o orzo e lo taglia con la falcetta finché non ce la fa più a tenerlo, “sa manada”. Si dice: “chimbe manadas a’ene unu mannuccru” (5 manate fanno un manico), e “ 5 mannucros a’ene una mani’a”.
Durante la mietitura, le donne si coprivano la testa con “muncadores biancos”, gli uomini con “sas palliettas”, che venivano smistate in Comune. Per evitare di prendere colpi di sole che potevano causare svenimenti, e con il sole forte molte erano le persone che si sentivano male, è nota la frase: “so vidende tottu a ‘ilivros” (sto vedendo tutto a setacci).
Queste unità di misura erano molto importanti e in genere non si sbagliava mai.
I grossi mazzi di grano chiamati “Sas Mani’as”, raggruppati e lasciati qualche giorno al sole nel campo, si caricavano sul carro e venivano portati all’aia.
I mietitori e le mietitrici oltre che proteggersi la testa, mettevano dei teli sulle braccia e sui polsi per non essere punti dalle spighe. Il duro lavoro della mietitura coinvolgeva diverse persone nella comunità, si andava a lavorare a “zorronada” (a giornata), mal pagati, con il padrone sempre pronto a prendersi la sua parte. Dalla mattina presto “ ’ene c’arves’ere”, fino a pomeriggio inoltrato. Non era raro che in queste occasioni si venisse punti da “sa varja” (L ’Argia era un insetto o in molte zone il ragno la cui puntura causava allucinazioni e stato di torpore), la si trovava spesso proprio nei campi nel periodo estivo.
Si andava alla fonte a prendere l’acqua con “sa variledda de urticu” (un recipiente di sughero) o con un altro recipiente detto “su fras’u” e poi ci si incamminava a piedi per 4-5 chilometri, talvolta anche di più.
Il grano, “su lavore”, in questa fase si chiama “su seghede”. La parte restante invece viene denominata “sutta seghede”.
Su seghede viene lasciato nel campo per poi essere portato nell’aia “s’arjola”, dove viene preparata accuratamente la trebbiatura, “su trivulonzu”.
I buoi passano sopra le spighe di grano guidati da su voinarju, essi trascinano una grossa pietra piatta. In seguito con il favore del vento si passerà alla fase de “su ventulonzu”, per separare il chicco dalla pagliuzza. Per questa operazione si usa un forcono di legno detto “su trivuthu”.
I chicchi di grano saranno separati dalla pula rimasta, chiamata in mamoiadino “su ghilipìo”. Il tutto finirà nei vari mulini.
Tra i più importanti ci si ricorda di Mulineddu, sull’omonimo fiumicciattolo che porta a Loret’Attesu, Su Mulinu de Su Pinu che era de sos Massiddas, questi ultimi ad acqua, e gli altri situati all’interno del paese come su Mulinu ‘e tziu Ispanu o Su Mulinu nell’attuale via IV Novembre la cui struttura ora è della fam. Angioi, Su Mulinu ‘e tziu Massetti, tutti alimentati dalla forza dell’asino.
Le farine ricavate prendevano nomi diversi a seconda della molitura, simula (se-mola), poddine (semolato), poddineddu (semolato fine), poddineddu lombardu ecc…
La setacciatura della farina invece avveniva in casa o sull’uscio. Durante queste fasi non era raro vedere le donne che preparavano con la farina diversi tipi di pasta a seconda dell’utilizzo.